Racconto, parte 8 "Gli Anelli"

In ogni modo, l'errore fu nostro. Non avremmo dovuto lasciarlo solo, non avremmo dovuto permettergli di aprire il libro e, soprattutto, non avremmo dovuto privarlo del suo anello quando decisero di chiuderlo in una cella imbottita.
Nel corso degli anni, i vertici dell'Organizzazione stabilirono che era assolutamente necessario cominciare a conoscere meglio ciò contro cui lottavamo. Il compito, certamente non semplice, toccò a Matt J. Simpson. Cofondatore dell'Agenzia, era una strana persona. Piena di dubbi, ma anche di certezze; il suo animo era colmo di paure, ma capace di eroismo, talvolta. La sua logica era come il suo fisico: contorto da anni di studio, la schiena rotta da ore impiegate a leggere libri dai caratteri piccoli, seduto su una sedia scomoda.

Diceva sempre che per fissarsi in mente qualcosa, aveva bisogno di provare delle sensazioni speciali. Il dolore era il sentimento che ho visto più spesso nei suoi occhi, dopo la follia. Qualora si possa intendere la follia come sentimento e non come condizione, ovviamente. Suppongo dipenda dai punti di vista e sono certo che Matt viveva la sua insania come un innamoramento. Quindi, lo studio ed il conseguente dolore, uniti alla passione ed alla pazzia facevano di Matt il miglior studioso di materie occulte nel nostro Paese, se non addirittura in tutto il mondo. Ci spiegò che alcune formule inerenti al “risveglio” delle entità che i cultisti cercavano di richiamare, potevano essere in un certo senso imprigionate in degli oggetti e, con le dovute modifiche, utilizzate come protezioni. Incanalò quelle formule in un rituale che officiava ogni qual volta l'Agenzia si arricchiva di un nuovo elemento. Il rito prevedeva, tra altre cose che ad oggi ancora ignoro, la realizzazione di un anello che l'iniziato ai segreti dell'Agenzia avrebbe dovuto indossare fino alla morte. Non so a cosa servisse esattamente, ma quello che porto al mio anulare sinistro, sta lì da quasi ottant’anni. Il mio anello ha una struttura in osso, alla cui sommità, incastonato, anzi, “fuso” è il termine corretto, si trova una gemma di un colore simile all'ambra. Al suo interno è possibile vedere il monogramma dell'Organizzazione: Tss.
Simpson ci disse che una volta indossati, non era più possibile toglierli, almeno non senza il suo intervento. Inoltre, ci fece intendere che non era saggio lasciare che qualcuno li esaminasse. Mai. Quando Molfetta venne internato, avvertimmo Matt della situazione. Egli stesso si precipitò al sanatorio per riprendere il prodotto della sua “arte”. Non avrebbe dovuto. Era stato lui a dirci che ci avrebbero protetti e sempre lui ci aveva detto che non avremmo dovuto toglierli se tenevamo alla pelle. Beh, Matt, secondo me porti nel cuore la colpa per la morte di Tony, sempre che tu ne abbia ancora uno umano!
Il giorno della morte di Tony, subito dopo che ci spedirono il suo corpo nel sacco del Coroner, corsi nello studio di Matt. Lo trovai seduto ad una poltrona davanti al camino. Con la mano sinistra reggeva un calice di brandy che portava svogliatamente alla bocca, mentre con la destra si massaggiava la nuca, fissando la fiamme. Sbraitai.
- Tuuu! Maledetto!
- Calmati…
- Tu! – gli puntai l’indice contro - Avrai questo conto da pagare!
Si alzò, sorseggiò un po’ di brandy e lo sputò sul fuoco. Sembrò che le dita del demonio risalissero l’aria dal camino fino a lambirgli la giacca, come per afferrarlo. Poi si dissolsero in piccoli crepitii. Fece tre passi pacati verso di me. Matt non aveva bisogno di indici da puntare. Si limitò a guardarmi, fermo come una statua per dei secondi che mi parvero interminabili. Ebbi la precisa sensazione che qualcosa stesse frugando dentro di me. Mi sentii violato, come una verginella. Allungò una mano verso un cassetto dello scrittorio accanto a noi. Lo aprì e tirò fuori l’anello di Tony. Me lo porse.

- Ecco ciò che sei venuto a chiedermi.
- Ma…
- Prendilo e va via, prima che mi accorga che hai disturbato le mie riflessioni.

Imparai col tempo che le minacce di Matt non erano né semplici avvertimenti né promesse solenni. Le intimidazioni di Simpson erano garanzie. Quindi, presi l’anello e quanto restava della mia integrità e me andai. Mi servirono circa venti minuti per organizzare il tutto. Dietro alla villa c’era la tomba di famiglia del vecchio proprietario. Da lì divelsi una lapide. Tornato alla villa, la piantai a terra sotto la coppia di scale che partivano dall’atrio, con le scritte rivolte al muro. Mi procurai del fil di ferro e lo infilai nell’anello. Lo curvai e ne incastrai le estremità in dei fori che avevo precedentemente prodotto nei bordi della lastra di marmo. Con il coltello incisi “Antony Molfetta”. Naturalmente non servì a riportarlo in vita, ma quanto avevo fatto fu utile a ricordare ai membri dell’Organizzazione che non era impossibile che il nostro lavoro finisse in tragedia, con o senza i regalini di Simpson. Passando per l’ingresso della villa, non sono stato molto contento di vedere che una tradizione che fui io ad iniziare, è ancora viva e seguita qui al Settimo Sigillo. Ad oggi un centinaio di nomi e di anelli si trovano su quella lapide. Ma nessun altro agente fu mai privato del proprio amuleto mentre era ancora in vita. Dopo diversi anni, il luogo è rimasto sostanzialmente invariato, a parte per la scritta che venne dipinta sul muro: le lacrime che abbiamo versato per i nostri fratelli saranno versate per noi da altri fratelli. Non ricordo chi fu a volerla, ma sono sicuro che per me nessuno piangerà mai.

1 commenti:

Brukoniglio ha detto...

Wow! Questa è una delle parti più belle finora lette! O_O

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